Sconclusionata

Che in me si riassumessero tutti i difetti della mia famiglia, come una specie di polpettone fatto con gli avanzi, era cosa nota.
Ciò che scopro in questo periodo è che, proprio come nel polpettone, ad ogni morso trovi nuovi ingredienti.

Oggi, l'Inconcludenza.

Ebbene sì: io, regina di staticità, essere capace di restare immobile di fronte a qualsiasi evento positivo o negativo, capace di rifiutare la vita perfetta solo per non dover concepire il cambiamento, capace di andare via da una festa, da una cena, da una vita, sempre un istante dopo rispetto a quello giusto, adesso mi scopro sconclusionata.
Il mio contrappasso arriva in vita e mi vede mutare in una sorta di macchina trita-idee.
Una mattina mi sveglio e vorrei fare una cosa, arrivata alla sera già l'ho vissuta tutta (da ferma sul divano o, adesso che è caldo, da ferma sulla spiaggia) e sono pronta ad archiviarla.
Il giorno dopo mi sveglio e vorrei partire per un paese lontano, arrivata alla sera già son tornata col primo volo intercontinentale cucina-bagno.
Decido che voglio cambiare lavoro, che voglio dedicarmi a questa o a quella cosa, che devo approfondire le mie competenze su quell'argomento e farne finalmente la mia professione, cala il sole e ho già finito tre corsi, due stages e quattro lavori, il tutto comodamente seduta alla mia scrivania.

Se vogliamo vedere i lati positivi, ne individuo 2:
1- Sarebbe peggio (la copio da E.) provarle tutte e sbagliare ogni volta;
2- Vivere tutti questi sogni è un po' come leggere un libro, e come leggere un libro riesce a distrarmi.

Se vogliamo invece vedere i lati negativi, me ne vengono in mente così tanti che non saprei da dove iniziare. Forse posso racchiuderli tra le simpatiche parentesi FALLI e MENTO.

Poi, mentre penso e rimugino, mi torna in mente una cosa che mi raccontava mia nonna da piccola.
Quando era ragazza, le capitò per un periodo di dover percorrere ogni giorno un tratto di strada per andare a lavorare in un posto che le piaceva poco, almeno quanto la sua vita in quel momento (strano, siamo parenti!). Così lei impiegava tutto il tragitto a raccontarsi una favola, ma non una qualunque, la favola di una sua vita immaginaria.
Nella trama lei era la donna che avrebbe voluto essere, con la vita che avrebbe desiderato.
Ogni giorno alla partenza da casa riprendeva il filo, aggiungeva particolari, inventava nuovi risvolti, e, almeno per quella mezz'ora, viveva quella vita.
Calibrava ogni "episodio" in modo che durasse giusto il tempo della strada da percorrere, in modo da poterlo sospendere nel punto giusto e riprendere l'indomani, come alla mattina riprendiamo ciò che abbiamo sospeso per andare a letto.
Non stupisce che poi, per tutti i suoi anni, abbia tenuto in fondo al letto, o sull'armadio o comunque in posti ben raggiungibili, una valigia vuota. Mi sembrava sciocco e inutile da bambina sentirla minacciare mio nonno dell'esistenza di quella valigia, avevo l'età in cui la realtà è talmente simile alla fantasia che tutto sembra possibile e niente deve ancora essere rimpianto.
Ma adesso capisco. Capisco che avere una valigia pronta voleva dire per lei avere un'alternativa tangibile, perchè quando hai sperimentato quanto realistico possa diventare un sogno fatto bene, credere che sia realistico riempire una valigia in fondo al letto e partire per una nuova vita è un gioco da ragazzi.

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